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INHERENT VICE - ANDREW PARKINSON
Il concetto alla base di questa esposizione, Inherent Vice: “La natura stessa di ogni bene o proprietà è la causa del loro deterioramento”, dovrebbe essere interpretato come una metafora. Non è che i pittori Sue Kennington, Nancy Milner e Nicola Melinelli usano materiali di seconda categoria, che portano, ad esempio, alla formazione di crepe o sgretolamento della pittura. L’instabilità di cui il titolo si riferisce è piuttosto una caratteristica del colore, il pensiero fisso che connette i tre artisti rappresentati in questa mostra.
Il gelato si scioglie, il carburante brucia e il colore cambia dipendentemente dal suo contesto. E’ possibile, in qualunque immagine, percepire due occorrenze dello stesso colore in modi alquanto distinti l’uno dall’altro e due colori diversi come lo stesso. Questo può portarci alla conclusione di Bridget Riley, che le proprietà del colore sono “inevitabilmente elusive”. L’informazione comunicata dal colore è sempre sfumata, ingannevole e soggette a cambiamenti.
Una delle strategie per un artista può essere quella di contrastare l’instabilità progettando con precisione. Un'altra potrebbe essere lo sfruttamento dell’insubordinazione del colore. Questi artisti preferiscono quest’ultima piuttosto che la prima. Melinelli inizia con i colori organizzati in un’ordinata geometria la cui chiarezza è disturbata soltanto da lievi alterazioni ad esempio nell’inclinazione di una linea o superficie. Forse qui non è tanto il colore che diventa instabile quanto il mezzo che lo “contiene”. Kennington e Milner preferiscono invece un approccio intuitivo che inizia in modo ambiguo e molto spesso arriva a un’affermazione relativamente precisa, entrambi gli artisti limitano le variabili in modo da concentrarsi sul colore. Che sia volontario o meno, tutti e tre gli artisti lavorano in serie. E’ facile distinguere quale dipinto può aver portato ad un altro, una sinuosa linea immaginaria viene tracciata attraverso ogni serie, o piuttosto un diagramma di flusso con vicoli ciechi qua e là e anche il riciclo o rivisitazione dei temi passati. C’è la ripetizione e c’è il cambiamento. Un processo stocastico sembra essere all’opera dove delle nuove espressioni si evolvono tramite qualcosa analogo alla selezione casuale.
Nel racconto di Thomas Pynchon, e l’adattamento cinematografico di Paul Thomas Anderson, Inherent vice è associato con il concetto di entropia, la seconda legge della termodinamica che, in cybernetica, consiste nel “la tendenza dei sistemi chiusi di muoversi verso la casualità”, spesso visto dai primi studiosi della cibernetica come deterioramento e opposto di informazione, collegata a caos e morte. Tuttavia, Claude Shannon si oppose a quel punto di vista, notando che l’entropia può portare i sistemi a una crescente complessità. Per cui ha uguagliato entropia ed informazione, spiegando che più un messaggio è casuale o inaspettato, più informazioni racchiude. Secondo Katherine Hayles, l’entropia qui viene riconcettualizzata.
Non è più “il motore termico che guida il mondo verso la morte universale”, piuttosto è diventato “il motore termodinamico che guida i sistemi verso l’auto-organizzazione”. Con questa modifica in mente sembra possibile che il titolo dell’esibizione sia un invito a pensare a queste opere d’arte come sistemi auto-organizzati, insiemi di parti interconnesse che hanno, con l’aiuto dell’artista, sistemato loro stessi in strutture compiute. Mentre l’instabilità del colore lo rende immune alla sistematizzazione deduttiva, in questa serie di esperimenti sembra organizzare se stesso, comunicando prima con l’artista durante il processo di pittura e in fine con lo spettatore.
Andy Parkinson dipinge e scrive di arte al suo blog patternsthatconnext.wordpress.com. He is a regular contributor to Saturation Point website and sometimes writes for Abcrit. He graduated in Fine Art in 1980 at what was then Trent Polytechnic, but only returned to art practice in 2010. He lives and works in Nottingham UK.